lunedì 5 maggio 2008

De rebus Cinae: 2° parte

Sottotitolo: Le questioni interne, il pensiero del popolo e le sue origini


Dopo una lunga pausa di 4 giorni mi accingo a completare la parte più pericolosa delle mie esternazioni cinesi! Per il 1 maggio in Cina sono previsti ben 3 giorni di festa!! Ma considerando che il 1 maggio era di giovedì, alla fin fine il tutto si è rivelato in un bel ponte di 4 giorni comune anche ad altri paesi, almeno credo!

Dicevamo di come il solido rispetto delle categorie confuciane rende i cinesi così obbedienti alla Mamma nazione (o al Padre regime se preferite), da risultare acritici nei confronti della mancanza di diritti come la possibilità di votare o di libera espressione.

Nella bandiera cinese ogni stella rappresenta i “dualismi” dei rapporti interpersonali così come Confucio li aveva concepite:

principe/suddito
padre/figlio
fratello maggiore/fratello minore
marito/moglie
amico anziano/amico giovane




Il più importante in ognuno di questi dualismi comanda sul secondo, il quale deve obbedire in cambio di sicura protezione. Se queste piccole scale gerarchiche vengono rispettate, cioè se “ognuno restasse al proprio posto” senza pretendere altro, tutto funzionerebbe a meraviglia.
Nella società cinese non è quindi prevista parità o democrazia per tradizione e ognuno è tenuto a svolgere un proprio “ruolo di comando o di obbedienza” affinché la società prosperi.

Siccome ho intenzione di parlare di Tibet, Taiwan e indipendenza, ho bisogno di introdurre un altro concetto fondamentale per capire la posizione del cittadino cinese medio riguardo questi scottanti argomenti (se non avrete più mie notizie o se vi accorgete che il blog non viene aggiornato per più di 10 giorni, please, che qualcuno contatti l’ambasciata italiana in modo da venirmi a prelevare dalle non-patrie galere! ^______^’) .


Breve storia della Cina e del suo senso di appartenenza ad un’unica grande nazione

Il senso di nazionalità e l’importanza dell’unione è un valore che raggiunge alti livelli di paranoia sia nell’apparato statale sia, di rimando, nella popolazione. Questa assorbe tali preoccupazioni grazie alle istintive paure primordiali cinesi. In pratica i cinesi hanno storicamente una fottuta paura di essere deboli e sottoposti a conquiste esterne. La Grande Muraglia, sforzo difensivo tanto bello quanto inutilissimo, ne è un simbolo: più di 6200 Km di mura costruite in varie tappe solo per paura delle invasioni da parte delle bellicose popolazioni del nord, ma ostacolo fin troppo facile da aggirare.





La Cina non è sempre stata unito, bensì formata da vari staterelli che muovevano continuamente guerra fra loro fino al XVII secolo e sono stati periodi particolarmente bui per tutta la popolazione, soggetta continuamente a saccheggi, destabilizzazione e decadenza.





Il “periodo degli stati combattenti”, fra il IV e il III secolo a.c., ha visto una prima unificazione della Cina, quando nel 246 a.C. Ying Zheng si proclamò imperatore dello stato di Qin (si pronuncia “Cin”, da qui il nome Cina). Tutte le unità di misura vennero unificate, così come la moneta e la scrittura, dando inizio ad una omogeneizzazione culturale che alla lunga si è rivelata sicuramente un bene per il paese. Costruì strade e tornò sui lavori alla Grande Muraglia, ma l’imperatore era anche molto odiato in quanto non esitava ad eliminare fisicamente chiunque gli si parasse contro, oltre ad aver costretto molti contadini ad arruolarsi e aver gettato tutti nel caos per l’adozione di monete e misure uniche. Era tanto soggetto ad attentati da essere costretto a subire un isolamento quasi totale e nessuno poteva avvicinarglisi entro 100 passi se non con particolari permessi e/o meriti.

Da qui nasce la storia del film “Hero”, se non l’avete visto e non volete che vi rovini il finale passate oltre questo paragrafo. E’ la storia di un tentativo di attentato da parte del protagonista che fingendo di aver ucciso i 3 più pericolosi attentatori dell’imperatore riesce a fare in modo di essere accolto dall’imperatore solo a 10 passi di distanza, lunghezza dalla quale lui, grande guerriero ma sconosciuto alle polizie, può sferrare un rapidissimo colpo mortale. Il film è girato in Cina e si vede!! Infatti alla fine il grande guerriero desisterà dall’uccidere l’imperatore, che diventa simpatico allo spettatore, in quanto capisce che l’unificazione della Cina, anche se ha fatto male a molti, non è altro che un progetto destinato al bene collettivo e per questo sacrificherà felice la sua vita.

La Cina ha poi visto altri periodi bui di frammentazione politica e di caos, fino al 1644 sotto la dinastia Qing che è sopravvissuta fino al 1912 quando nacque sotto proclamo, in seguito a una rivolta, l’attuale Repubblica Popolare Cinese.

Riassumendo, il concetto del sacrificio di “pochi” per il bene di tutti come traspare nel film di propaganda “Hero”, il forte senso di nazionalità e di unità alimentato dalle intrinseche paure di debolezza della propria mamma/nazione e la cieca obbedienza secondo le dualità confuciane sono alla base delle risposte che ho ottenuto alle mie domande riguardo la questione tibetana.

Inizialmente ho fatto io un po’ di domande mostrando una discreta e coraggiosa iniziativa. Poi, col moltiplicarsi delle proteste al passaggio della fiaccola olimpica, sono stati i cinesi stessi che mi hanno chiesto i motivi di tale protesta che io, ingenuamente, ho riportato loro. Lo scenario che si è profilato dinanzi è stato pressoché identico e, come anticipato, perfettamente (in modo inquietante) allineato con la volontà del regime.


Identità nazionale obbligata

In pratica ognuno di quelli con i quali ho parlato non si capacita del motivo per il quale i tibetani vogliano l’indipendenza. Ripetono che i tibetani “sono cinesi come noi”, non hanno nessun motivo per desiderare la separazione! Che il Tibet è una regione molto molto povera e non ha altro che da guadagnare dalla Cina, la quale ha fatto tanto per loro e ha permesso il loro benessere.
Vanissimi, ovviamente, i miei tentativi di introdurre il concetto di autodeterminazione nazionale, di diritto al voto per scegliersi un proprio governo, di diritto alla libertà di parola e di espressione.





Sono concetti che non arrivano proprio al cuore dell’interlocutore, parole che per loro non hanno senso: è come se un principe arabo volesse convincere una donna occidentale dell’importanza della poligamia (maschile, s’intende!)…
La cosa che più mi ha sorpreso è che sanno benissimo, e ammettono candidamente, che la ragione principale per la quale nessuno dei cinesi è d’accordo sull’indipendenza tibetana è esattamente quella che l’occidente sospetta: se si permette la separazione del Tibet, anche Taiwan e altre minoranze pretenderanno di fare altrettanto, col risultato di un indebolimento della nazione. Sacrificio di pochi per il bene di tutti. Lo ammettono e giustificano proprio con questo motivo il rigido e austero comportamento del loro governo nei confronti di dissidenti e separatisti. Un punto di vista decisamente diverso dal nostro!

Non ho usato a caso la parola “austero” piuttosto che la parola “assassino”: il sistema censorio e lo stretto controllo sui mezzi di informazione è stato abilissimo nel creare nei cinesi l’idea di uno stato severo ma buono, dato che non vengono certo ammesse le carneficine che i cronisti occidentali riportano. Severo per il bene di tutta la collettività, dato che per i cinesi la collettività e il bene di essa sono valori che vanno assolutamente al di sopra dell’individualismo, il quale, al contrario, è stato il baluardo delle conquiste illuministe dell’occidente.

Fondamentalmente, quindi, il pensiero del cittadino cinese medio è fortemente influenzato da un forte senso del bene collettivo che, alimentato da un sistema di censura efficace quanto invisibile, porta ad un consenso popolare che è ben consolidato al contrario di quanto si pensi nel resto del mondo.

Nella terza, e spero ultima, parte di questo pippone cercherò di dare un’idea di come sia stato possibile, tramite la censura e la propaganda, creare tale consenso sfruttando la tradizione confuciana e di come i cinesi vedano la “cosa pubblica” alla luce delle poche cose che sanno del loro paese e dell’occidente.

13 commenti:

Fabio ha detto...

ottimo intervento...illuminante direi. sono come un popolo di formiche. se non andasse a discapito della libertà di pensiero, di parola e di azione, sarebbe forse anche positivo il loro "collettivismo".

lucia ha detto...

una provocazione...
se bossi dichiarasse l´indipendenza della padania io manderei i carroarmati.
occhio che l´autodeterminazione dei popoli deve anche fare i conti con le integritá nazionali.
detto questo i modi brutali delle repressioni non sono giustificabili, cosí come le torture. ma non sono giustificabili nella stessa misura in cui non sono giustificabili quelle ai dissidenti cinesi...

Unknown ha detto...

hanno già Calderoli e Borghezio, poveri padani, e gli vuoi pure mandare la disgrazia dei carri armati?!?! Dio quanto vorrei guidarne uno e vedere Borghezio che mi si para dinanzi come lo studente di piazza Tian'anmen!! ^___^


Cmq sia, integrità nazionale o meno, non credo sia così facile parlare di integrità nazionale come una cosa assolutamente sempre valida. I Trentini non è che si sentano molto italiani come i tibetani non si sentono cinesi e gli italiani non si sentono francesi...chi decide su cosa si ba sa l'integrità nazionale?!?!

è dura da dire...



@Fabio: il collettivismo è sempre positivo...come anche il concetto di redistribuire le ricchezze in modo che la forbice fra poveri e ricchi non sia troppo ampia (sempre secondo i miei ideali), ma purtroppo son tutte cose che vanno imposte...e loro le impongono o con la "dolcezza" (e nel prossimo post ne parlerò), o con la forza!

lucia ha detto...

sí infatti, ma bisogna vedere:
1) quanti sono i tibetani
2) da quanto tempo sono cinesi
3) quanti sono i cinesi
tutte queste cose forse non dico che possono dare un quadro chiaro, ma forse aiutare a prendere una posizione che non sia semplicemente "glamour"...
so che non é facile, anche perché si corre il rischio di giustificare il governo cinese in generale.
ma guarda che storicamente la zona del tibet é "cina" e prima che ci andasse a finire Mao era comunque una teocrazia di quelle toste arretrata fino al medioevo, come adesso ci pare l´iran.
a me che stanno sulle palle i preti sinceramente mi stanno sulle palle un po´tutti.
i dalai lama erano monarchi assoluti, non insegnanti di meditazione. con tutto il rispetto per il dalai lama che ha fatto passi da gigante verso il dialogo e la non violenza.
un´altra cosa sulla quale riflettere un pochino: avete visto su repubblica le foto dei bambini buddisti di otto anni che si avviavano al tempio a dedicare interamente e per sempre la loro vita alla meditazione e alla preghiera?
mio padre é stato messo in seminario cattolico che aveva 10 anni e sia lui che tutti noi in famiglia l´abbiamo sempre considerata una cosa di una brutalitá mostruosa. perché i baby monaci buddisti non ci ispirano la stessa pietá?

Anonimo ha detto...

MA perche' OVVIAMENTE appartengono alla categoria degli untermenschen, e possono anche stiantare tutti.
A mio avviso il punto di vista che non abbiamo, e non avremo, e' quello del tibetano medio: si sente cinese o no? Comunista o no? Gli garba ugintao o ildalaidalema?
Poi e' ovvio che in ogni macro o microcomunita' esiste sempre il seme della secessione. Dai delle buone ragioni ai Riglionesi e chiederanno la secessione da Oratoio (questa la chiappo solo io). Che la secessione avvenga dipende 1) dalla forza e dalla volonta' di chi si vuole separare 2) dalla forza e dalla volonta' dell'aaprato dal quale ci si vuole separare. Ora per come la vediamo noi occidentali, il tibet era uno stato indipendente 50 anni fa, poi arrivarono i cinesi e dissero questa e' Cina, che vi garbi o no. 50 anni fa fu annessione. Dopo 50 anni i tibetani sono, dentro di se, ancora una nazione o no?

Unknown ha detto...

Direi che la questione del "da quanto tempo" e "quanti si sentano cinesi fra i tibetani" sia una questione che può riguardare qualsiasi popolo. I tibetani non si sono mai sentiti cinesi, han sempre inscenato proteste (famosa è quella "non violenta" del 1959, dieci anni dopo l'invasione cinese di Mao) e sempre represse nel sangue. Annettersi con tali mezzi una popolazione e iniettarvi dentro gente cinese sia nei punti nevralgici di amministrazione civile che religiosa è un po' il tentativo che ha fatto la Germania di conquistare l'Europa, ma è stata fermata. Oggi come oggi se la Spagna tentasse di annettersi il Portogallo troverebbe eserciti di tutto il mondo a contrastarla, così come è successo, giustamente, quando l'Iraq ha tentato di conquistare il Kuwait. Anche Israele alla fine s'è levato dai coglioni della striscia di Gaza. Il Tibet invece non se l'è cagato nessuno e i tibetani continuano a non voler esser cinesi, con coerenza e pervicacia. E se la Cina interviene vuol dire che pochi pochi non sono, sennò cercherebbe di far finta di nulla.

Ah, io la questione riglionese la capisco e sono a favore dell'annessione di Riglione da parte di Navacchio!


@Lucia: francamente anche a me fa orrore che un bimbo di 8 anni vada a fare il monaco tutta la vita o sia infilato nel tempio Shaolin a fare arti marziali o in un circo, ma francamente tutta sta pena da parte degli italiani per i bambini che vanno in seminario io non la vedo!! Anzi...credo che la maggior parte della gente la giudichi una buona scelta, ohimè!

Anonimo ha detto...

QUANTE COSE IMPARO!!!!
MA MI FA UNO SCHIFO QUEL PUPPAZZETTO SCHIACCIATO...
UN BACIO,

ALBA

lucia ha detto...

ahem... temo ci sia qualche piccolo gap informativo sulla storia del tibet e della cina. il tibet non ha "cessato la sua indipendenza" con l´invasione cinese, essendo il tibet da secoli cinese e reso provincia autonoma solo pochi decenni prima. ora mi organizzo un pippone scritto meglio e poi ve lo metto qui.
ciao!

Unknown ha detto...

mah...Lucy, il pippone è benvenuto, perchè io ho sempre avuto notizie di un Tibet invaso dalla Cina più volte. Se fosse già stato cinese che minchia avrebbero dovuto invaderlo a fare?!!? e perchè il governo tibetano se n'è andato in esilio??? :o

lucia ha detto...

il governo tibetano se ne é andato in esilio quando la cina si é "ripresa" il tibet.
se parli con i cinesi ti diranno piú o meno questo, che il tibet é una regione cinese. abitata anche dai tibetani. che faceva parte dell´impero cinese e che alla caduta dell´impero (nel ventesimo secolo) si era staccato e che mao se lo é semplicemente ripreso. la sicilia é stata conquistata da garibaldi, ma la definiresti "non italiana?"
comunque devo ancora mettere insieme il pippone.
:)

Unknown ha detto...

Se è per questo i cinesi ti dicono che i tibetani sono cinesi così come noi diciamo che i siciliani sono italiani (anche se per le camicie verdi non è sempre così)!!

Non ho info dettagliate, ma quel che sapevo io era di vaari tira e molla fra "invasione" e "liberazione", per questo ho detto che è un bel po' difficile stabilire chi ha ragione o no!! E cmq se la Sicilia dovesse, tutta, decidere di riannettersi alla Spagna perchè non si sentono italiani io non avrei grosse obiezioni, faccio fatica a dividere le persone in "nazioni"!! Con un referendum e bona lè, ma la questione è come reagire alle volontà indipendentiste!!

lucia ha detto...

allora... ho fatto il compitino...
praticamente ho solo guardato su wiki ma c'era quello che cercavo. copio e incollo.
La storia del Tibet e del suo popolo ha radici incerte, che forse risalgono alle tribù nomadi guerriere Qiang, attestate in zona nel II secolo AC. Ma sino al VII secolo, non vi sono evidenze di presenza di un popolo politicamente compatto.

Numerose parti della regione furono unificate nel VII secolo dal re Songtsän Gampo. Nel XIII secolo, il Tibet divenne parte dell'Impero cinese mongolo (Dinastia Yuan) e 4 secoli più tardi il Tibet fu incorporato nella Cina all'epoca della dinastia Qing.[2] La linea dei Dalai Lama fu stabilita nel 1578 e giunse al potere ai tempi del 5° Dalai Lama, Lozang Gyatso (1617-1682)[3]. Nel 1653, "Dalai Lama" divenne un titolo ufficiale e come tale riconosciuto dal potere Qing[4]. Fra il XVII secolo e il 1951, il Dalai Lama e i suoi collaboratori rappresentarono il potere politico, religioso e amministrativo dominante[5] sulla maggior parte del Tibet, operando dalla capitale tradizionale di Lhasa.

Nel 1912 il 13° Dalai Lama dichiarò unilateralmente la separazione del Tibet dalla Cina.[2] Dal 1912 al 1950, il Tibet guadagnò de facto l'indipendenza,[6] sebbene nessuna nazione riconoscesse il Tibet come Stato indipendente[7][8]. Nel 1951 la Repubblica Popolare di Cina obbligò il governo tibetano a firmare l'Accordo di 17 punti, reintegrando in tal modo il Tibet nello Stato cinese. Il Dalai Lama, capo del governo tibetano in esilio riteneva che per modernizzarlo, il Tibet dovesse rimanere parte della Cina, sebbene chiedesse al contempo alla Cina di fornire "una piena garanzia di salvaguardia della cultura tibetana". [9]

insomma... fare parte della "cina" dal XIII secolo è abbastanza...
considerate che poi si era staccato nel 1912... "approfittando" della rivoluzione cinese, non è che sia rimasto indipendente molto a lungo.
detto questo, niente scusa le torture, i pestaggi e le violenza brutali su oppositori e manifestanti.

Unknown ha detto...

e brava la mia anatrona preferita!! Una vera secchioncella!! ^___^

beh si, in effetti i tempi per considerare il Tibet Cina ci sono tutti, il problema è, come ripreso da te, il modo in cui si mette a tacere la voce indipendentista e soprattutto il motivo della richiesta di indipendenza, dettato in particolar modo dai privilegi che i cinesi hanno rispetto ai tibetani!!


e grazie per il corollario!! ^__^